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Raffaele Pe & La Lira di Orfeo #solomonteverdi

Un atteso debutto nella Stagione da Camera dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia (23 febbraio, ore 20.30   -Sala Sinopoli, Auditorium Parco della Musica) quello di Raffaele Pe, tra i controtenori più richiesti dai direttori e dalle orchestre di tutto il mondo (John Eliot Gardiner, Jordi Savall, William Christie, Teatro La Fenice di Venezia, Theater an der Wien, Teatro Real di Madrid, Teatro Colón di Buenos Aires)e l’ensemble da lui fondato nel 2015 La Lira di Orfeo che raccoglie alcuni dei migliori interpreti su strumenti antichi della nuova generazione, protagonisti di un programma dedicato al compositore Claudio Monteverdi (Cremona, 1567-Venezia 1643). Sarà un viaggio musicale intorno alle composizioni più intime di Monteverdi, con una raccolta di canzoni e mottetti che intendono esplorare la magia e la solitudine che caratterizzano queste miniature, e condividendo uno speciale sguardo sulla sua musica in generale.

Descritto come “a baroque star” dal “Times”, artista di riferimento e infaticabile promotore della cultura barocca, il controtenore abbraccia un repertorio che spazia dal Recitar cantando a opere contemporanee create su misura per la sua voce. “Spesso”, ha dichiarato l’artista lodigiano “non ci accorgiamo di quanto una melodia possa entrare a far parte delle nostre vite, possa influenzare il nostro percorso. Quando penso a Claudio Monteverdi vado sempre all’origine del mio.

La sua vicinanza è per me non solo musicale ma anche in parte biografica. Cremonese di nascita, profondamente lombardo nel vissuto, da Mantova a Milano, per i diversi tentativi – tutti falliti – di diventare Maestro di Cappella del Duomo di quella città, poi Venezia, la vera capitale, ma solo in età matura, dopo infiniti soprusi dai suoi nobili “protettori”, sventure e lutti famigliari.

Era da tutti considerato il Divin Claudio, sebbene rifuggisse questa esposizione vanitosa. Entusiasmo e malinconia si fondono nella sua musica, altissima e semplice, fatta di amore e morte, come la sua vita che sopravvisse alla perdita dell’adorata figlioccia Caterina – per lei scrisse la sua immortale Arianna – e alla moglie Claudia. 

Le pochissime pubblicazioni ci parlano di una attenzione quasi maniacale alla composizione cui dedicava con zelo le ore pomeridiane, e da cui non riusciva a esimersi, come fosse l’unico modo per rimettere insieme i pezzi della propria vita e ricominciare giorno per giorno. Molti sono i documenti rimasti che ci parlano di lui, ma da quali di questi possiamo comprenderlo? Come possedere il suo stile, la sua anima? Vivono in noi interpreti attuali le sue opere musicali, ma sento che ciò che veramente resta di lui – o che veramente rinasca ogni volta in chi ascolta – siano le sue melodie.

Quella sensazione di riconoscerle pur senza averle mai ascoltate, un potere straordinario e misterioso, che può esistere solo in una musica che nei secoli si è assorbita in una cultura, una musica che forse ne ha costruito la vera essenza. Ecco dunque come nasce questo programma: estrarre la linea del canto dai lavori più affascinanti del padre dell’opera moderna – sacri e profani – e presentarle al pubblico di oggi nella loro ieratica soavità, rileggendole alla maniera antica insieme a un gruppo di accompagnatori pronti a farle rivivere con l’improvvisazione e la ‘sprezzatura’, come si conveniva a questo repertorio.

Tra gli strumenti di continuo una attenzione particolare alle viole e ai liuti (che Monteverdi stesso suonava), ma anche a strumenti acuti per l’accompagnamento come il violino tenore o il cornetto, con cui gli interpreti del tempo sapevano imbastire controcanti e bassetti per sostenere il cantante.”

Martina Moretti

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