Sabato 12 marzo l’esecuzione in forma di concerto della Turandot diretta da Antonio Pappano è l’evento musicale più atteso dell’anno. Biglietti da €40 a €150
Sarà tra le produzioni discografiche più importanti del 2023 (l’incisione verrà effettuata nelle settimane precedenti il concerto per l’etichetta Warner Classics, e precederà di un anno il centenario della morte del compositore lucchese nel 2024): è Turandot di Giacomo Puccini che Sir Antonio Pappano dirigerà – per la prima volta nelle stagioni ceciliane e per la prima volta anche nella carriera del Direttore musicale – nella Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica di Roma sabato 12 marzo alle ore 18, in forma di concerto e con il finale originale del compositore Franco Alfano.
Sul podio dell’Orchestra, del Coro e del Coro di Voci Bianche di Santa Cecilia (istruiti da Piero Monti) Pappano avrà al suo fianco un cast d’eccezione che annovera i nomi di Sondra Radvanovsky (Turandot), Jonas Kaufmann (Calaf),Ermonela Jaho (Liù), Michael Spyres (Altoum), Gregory Bonfatti (Pang), Siyabonga Maqungo (Pong), Mattia Olivieri (Ping), Michele Pertusi (Timur) e Michael Mofidian (Un Mandarino).
Per la sua ultima opera, vero e proprio testamento musicale, Puccini decise di collaborare con i due librettisti Giuseppe Adami (che per Puccini aveva scritto anche il libretto della Rondine e del Tabarro) e Renato Simoni. Durante un incontro avvenuto tra i tre a Milano nell’inverno 1919-1920 emerse il nome di Carlo Gozzi e della sua Turandot, che dapprincipio destò in Puccini qualche perplessità poiché alcuni anni prima Busoni aveva tratto dallo stesso soggetto una Turandot con dialoghi parlati, tuttavia i dubbi furono presto superati. Il compositore iniziò a lavorare all’opera nella primavera del 1920, ma la morte lo colse durante la composizione del terzo atto, quand’era ormai giunto alla scena della morte di Liù, tra le pagine più felici dell’opera, e lasciò dunque incompiuto il duetto fra Calaf e Turandot e il quadro conclusivo. L’opera, in cui riecheggia tutto ciò che rende affascinante la musica di Puccini – melodie ed arie espressive (chi non conosce “Nessun dorma”?), un’eroina sconvolgente, temi eterni come eros e thanatos, la ricchezza dei cori, strumenti di ogni tipo, l’uso di temi originali cinesi – andò in scena il 25 aprile 1926, due anni dopo la morte dell’autore, diretta da Arturo Toscanini, con la regia di Giovacchino Forzano. È noto l’episodio che vide, alla première, Toscanini posare la bacchetta, dopo l’ultima scena scritta dal Maestro, due battute dopo il verso “Dormi, oblia, Liù, poesia!” e giustificare la scelta di non proseguire rivolgendosi al pubblico declamando: “Qui finisce l’opera, perché a questo punto il Maestro è morto. La morte in questo caso è stata più forte dell’arte”. La sera seguente l’opera fu rappresentata, sempre sotto la direzione di Toscanini, con il finale di Alfano, che verrà eseguito anche in questa occasione.
L’incompiutezza dell’opera è da sempre oggetto di discussione tra gli studiosi. Alcuni sostengono che Turandot rimase incompiuta non a causa dell’inesorabile progredire del male che negli ultimi anni afflisse l’autore, bensì per l’incapacità, o piuttosto l’intima impossibilità da parte del Maestro di interpretare quel trionfo d’amore conclusivo, che pure inizialmente l’aveva acceso d’entusiasmo e spinto verso il soggetto di Gozzi. Il nodo cruciale del dramma, che Puccini cercò invano di risolvere, era infatti costituito dalla trasformazione della principessa Turandot, fredda e sanguinaria, in una donna innamorata, che deve scegliere per sé uno sposo in grado di conquistarla con le armi dell’intelligenza, e non quelle della seduzione, e questa riduzione della “algida” Turandot a un ruolo amoroso rischiava di apparire meccanica e forzata.
Sull’esecuzione che andrà in scena a Santa Cecilia, il Direttore musicale dell’Orchestra e del Coro di Santa Cecilia Antonio Pappano, che di Puccini ha già inciso La Bohème, Il trittico, La rondine, Tosca, Madama Butterfly (quest’ultima con l’Orchestra e il Coro dell’Accademia) nonché, in campo sinfonico, la Messa di Gloria e il Preludio sinfonico, ha recentemente dichiarato:
“Turandot è un’opera che in passato ho evitato di dirigere pur avendo già affrontato molti titoli del compositore lucchese. Tuttavia, col passare del tempo ho subito il fascino della partitura, dell’orchestrazione, della sua concezione; è un’opera che riflette tutto quanto si agitava nella musica dei primi del Novecento, da Debussy a Stravinskij fino ad arrivare ad altri illustri compositori. Ma, sia ben chiaro, Puccini non imita nessuno e rimane sempre originalissimo. Oltre a tutto ciò, colgo la fragranza esotica presente nel soggetto: io sono sempre stato attratto da partiture illuminate dal chiaroscuro. In quest’opera Puccini ha scritto una scena abbastanza articolata per le tre maschere, Ping Pang e Pong, che è un autentico capolavoro, un passo felicissimo reso con una magistrale orchestrazione; Turandot è permeata da una splendida raffinatezza, che ha modo di emergere in un lavoro pieno di graffiante ironia. Puccini si muove tra tragedia e leggerezza, ed è un aspetto che mi piace molto. C’è, poi, tutta la vicenda del finale, che è assolutamente affascinante. Alla “prima”, dopo la morte di Liù, Arturo Toscanini depose la bacchetta, si girò verso il pubblico della Scala e disse “Qui finisce l’opera… […]”. Da allora in poi Turandot è stata eseguita con il finale commissionato a Franco Alfano dalla Casa editrice Ricordi, poi accorciato da Toscanini. Alfano non era geniale come Puccini, tuttavia il suo finale dal punto di vista teatrale funziona, e quindi abbiamo deciso di eseguirlo il 12 marzo e di registrarlo in disco, comprese le circa 104 battute soppresse da Toscanini
. Non vedo l’ora di trovarmi in mezzo a quei suoni, a quei colori, a quei profumi. Turandot è un’opera perfetta per il Coro e per l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, e la sala Santa Cecilia ha l’acustica ideale per renderla al meglio. Spero di realizzare una esecuzione molto bella”.
Mostra Turandot. L’Oriente fantastico di Puccini
L’esecuzione della Turandot diretta da Antonio Pappano verrà arricchita con l’esposizione di alcuni costumi e gioielli di scena risalenti alla prima assoluta della Turandot (Teatro alla Scala di Milano, 25 aprile 1926). La fortuita scoperta dei materiali risale ai primi mesi del 2018, quando al Museo del Tessuto di Prato venne proposto di acquisire un misterioso baule contenente del materiale proveniente dal guardaroba del soprano Iva Pacetti. Gli studi condotti hanno poi permesso di riconoscere in due costumi e in due gioielli di scena quelli disegnati e realizzati dal costumista della Scala Luigi Sapelli per la prima assoluta dell’opera e all’epoca indossati da Rosa Raisa, primo soprano a interpretare il ruolo di Turandot.
Grazie all’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese in Italia, in occasione della mostra verrà esposto anche un costume della Turandot dell’Opera di Pechino, prodotta dalla Compagnia Nazionale dell’Opera di Pechino e dell’Emilia Romagna Teatro Fondazione. L’abito è disegnato sulla base di un costume mang, rivisitato con un taglio occidentale. Il tessuto principale è la seta, secondo la tradizione cinese, ed è decorato con immagini di fenici, simbolo che identifica le nobili principesse, di onde del mare e scogliere che rappresentano la bellezza, la regalità e l’eleganza della figura di Turandot.
I costumi e i gioielli saranno esposti dal 10 al 27 marzo al Museo degli strumenti musicali, Auditorium Parco della Musica, ingresso libero. Orari: lunedì-venerdì 14-18, sabato e domenica ore 11-20. Nei giorni di concerto dell’Accademia la mostra resterà aperta fino all’intervallo.
La mostra è organizzata in collaborazione con la Fondazione Museo del Tessuto di Prato.
L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ringrazia per il sostegno alla mostra l’Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese in Italia.