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Rigoletto dal 13 al 22 maggio al Teatro Carlo Felice Genova

Debutta al Teatro Carlo Felice di Genova venerdì 13 maggio 2022 alle ore 20.00 (repliche il 14, 15, 20, 21, 22 maggio) Rigoletto, melodramma in tre atti di Giuseppe Verdi, su libretto di Francesco Maria Piave, in un allestimento della Fondazione Teatro Carlo Felice diretto da Jordi Bernàcer, alla testa dell’Orchestra e del Coro del Teatro Carlo Felice, preparato da Francesco Aliberti; una nuova ripresa di Vivien Hewitt della regia firmata da Rolando Panerai per la Fondazione Teatro Carlo Felice nel 2017. Le scene sono realizzate dalla Fondazione Teatro Carlo Felice su di un’idea di Rolando Panerai, i costumi di Regina Schrecker, la coreografia di Nicola Marrapodi, le luci di Luciano Novelli.

Il cast è composto da Giovanni Sala/Matteo Falcier  (Il Duca di Mantova), Amartuvshin Enkhbat/George Petean/Ivan Inverardi  (Rigoletto), Enkeleda Kamani/Lucrezia Drei (Gilda), Riccardo Zanellato/Mariano Buccino (Sparafucile), Caterina Piva/Valeria Girardello (Maddalena), Simona Marcello/Anna Venturi (Giovanna), Gianfranco Montresor (Monterone), Marco Camastra (Marullo), Didier Pieri (Matteo Borsa), Claudio Ottino (Il Conte di Ceprano), Daniela Aloisi/Simona Marcello (La Contessa di Ceprano), Filippo Balestra/Roberto Conti (Usciere), Lucia Scilipoti/Simona Pasino (Paggio).

Title sponsor della produzione è Eni.

La prima rappresentazione sarà preceduta da due incontri di approfondimento aperti al pubblico: la conferenza illustrativa di sabato 7 maggio, alle ore 16.00, all’Auditorium E. Montale, Sempre magico Rigoletto, relatore Lorenzo Costa, realizzata in collaborazione con Amici del Teatro Carlo Felice e del Conservatorio Niccolò Paganini e l’incontro di studio di mercoledì 11 maggio, alle ore 17.30, nel primo Foyer, Quel vecchio maledivami! La tragedia senza scampo di Rigoletto, relatori Stefano Verdino e Raffaele Mellace, in collaborazione con l’Università degli Studi di Genova.

L’opera rivelatrice del carisma popolare di Giuseppe Verdi, Rigoletto, fu scritta su commissione del Teatro la Fenice di Venezia, ed ivi rappresentata per la prima volta l’11 marzo 1851, dopo aver superato l’esame della censura asburgica. Si contestava al compositore la scelta di aver messo in musica un soggetto controverso, tratto da Le Roi s’amuse di Victor Hugo – sebbene traslato nella cinquecentesca corte del Duca di Mantova – violando il decreto del Governatore Militare di Venezia. Del resto, per gli evidenti riferimenti alla vita privata di Francesco I, il dramma teatrale originario dovette attendere addirittura cinquant’anni per ritornare sulle scene parigine dov’era nato, nel 1832. Originale e innovativa per i tempi, acclamata sin dal suo debutto dal pubblico, l’opera di Verdi non fu compresa subito da tutta la critica. Qualche tempo passò prima che vennero giustamente apprezzati sia il suo libretto, che condensa con grande maestria in poco più di due ore un’opera teatrale in cinque atti, mantenendone intatto il potere di suggestione, accentuandone il senso dell’inevitabilità drammatica assieme ad una riflessione sull’eterna attualità del  destino del protagonista, sia il suo linguaggio musicale, caratterizzato dall’abbandono delle forme chiuse con l’adozione di un declamato aperto e fluido, al servizio dell’espressione, dello scavo psicologico e soprattutto della parola. La regista irlandese Vivien Hewitt ricompone per la prima volta l’impianto registico e scenografico ricevuto in eredità dall’interprete e regista toscano, che in occasione del suo ultimo allestimento a Genova nel 2017 affermava «il mio punto di riferimento è lo spartito, dove ci sono le parole del librettista e la musica di Giuseppe Verdi: più di questo non si può volere». Di quell’allestimento, sono riproposti anche i sontuosi costumi senza tempo della stilista prestata al Teatro Regina Schrecker, realizzati con tessuti di recupero e interamente prodotti per l’occasione, assieme alle scene, dalla Fondazione Teatro Carlo Felice.

«Il Teatro Carlo Felice prosegue nella sua programmazione operistica quest’anno – commenta il Sovrintendente Claudio Orazi – con un Rigoletto nato in questo Teatro nel 2017, per la regia di Rolando Panerai, che la regista Vivien Hewitt, a lui particolarmente legata, farà rivivere, rivisitandolo, con i costumi originali di Regina Schrecker disegnati per l’occasione, e con una nuova direzione dell’Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice affidata a Jordi Bernàcer. Il cast comprende la star internazionale Amartuvshin Enkhbat, baritono mongolo che, assieme a George Petean e a Ivan Inverardi, interpreta la parte di Rigoletto. Al loro fianco, interpreti di grande esperienza internazionale tra cui Riccardo Zanellato e giovani valorosi che si stanno distinguendo nei teatri di tutto il mondo, come Giovanni Sala, Enkeleda Kamani, Caterina Piva. Con il quarto titolo dell’anno, cui segue in giugno l’allestimento de Il turco in Italia di Gioachino Rossini, si avvia alla conclusione una stagione pensata come un omaggio alla grande tradizione operistica italiana, attraverso alcuni dei capolavori dei suoi autori più celebri e amati, che prelude a una nuova stagione 2022-2023 densa di novità. Desidero quindi cogliere l’occasione sempre ringraziare per il loro supporto nell’immaginare tali ambiziosi progetti i nostri Soci fondatori, i nostri Sponsor e, in quest’occasione in particolare, il Title Sponsor Eni».

«Ritornare a Rigoletto per me è sempre un privilegio, afferma il direttore Jordi Bernàcer: la profondità della sua musica, della personalità dei protagonisti, la straordinaria capacità che Verdi ha di creare dei colori insoliti nell’orchestra, che rispecchiano la più profonda emozione di ciascun personaggio…Tutto questo fa di Rigoletto il capolavoro che tanto amiamo. Ma se dovessi scegliere una parola che definisce interamente l’opera sarebbe “originalità”: quella dei suoi personaggi, antieroici e complessi, e quella della sua musica, in cui le arie non sono isolate ma immerse in un movimento più ampio e drammaturgicamente fluido (come la ballata iniziale del tenore, La donna è mobile oppure l’aria di Gilda, che viene terminata dai cortigiani). Quella che si manifesta nell’intenso sviluppo musicale all’interno dell’orchestra nel duetto di Sparafucile e Rigoletto (con un violoncello e un contrabbasso solisti), dove i cantanti declamano più che cantare. O nel “ritorno” alla polifonia nel celebre quartetto, dove magistralmente Verdi fa convergere quattro diversi punti di vista, quattro emozioni vissute nel tempo presente che si incontrano, in contemporanea. Va segnalata anche l’originalità estrema che manifesta la particolare partitura del coro, che diventa un personaggio a sé, con una scrittura propria. Nei primi atti, è volutamente “volgare”, “superficiale”: sono cortigiani. Ma nel terzo, diventa uno strumento nuovo: il suo canto a bocca chiusa, a imitazione del vento, davvero “inventa il vero” ed è inaudito».

«Questo Rigoletto porta con sé un’eredità carica di emozioni e di sfide, racconta la regista Vivien Hewitt. Devo anzitutto cercare di realizzare le intenzioni di Rolando, che sono legate ad un’attenta lettura della parola, oltre che alle idee musicali di Verdi, e ad una sua visione complessiva dell’opera. Ma allo stesso tempo questo Rigoletto è sempre stato ed è un organismo vivente e credo che Rolando avrebbe voluto che rimanesse tale: in continua evoluzione. Quindi la regia che mi accingo a presentare, nel solco del lavoro realizzato nel 2017 e nel rispetto del suo pensiero in primis lascerà che le personalità dei personaggi di Verdi emergano da quelle dei loro interpreti, che sono diversi oggi rispetto ad allora. E viceversa, andando oltre la versione realizzata nel 2017, proporrà alcune nuove idee, che sviluppano ulteriormente il potenziale di quell’allestimento rimasto inespresso. Rolando Panerai era dotato di un grande istinto teatrale, per cui il Teatro era un tempio, un luogo sacrale. Regina Schrecker, è invece una donna di moda, che ho portato alla lirica per la prima volta in occasione di una mia fortunata Madama Butterfly. Lavorare con questi due artisti, con le scene realizzate dal Teatro Carlo Felice su di un’idea di Rolando e i costumi fatti di materiali “poveri” vuol dire unire mondi molto lontani tra loro. Il risultato sarà un Rigoletto atemporale, che però non stravolge del tutto l’idea di un Cinquecento possibile, per quanto astratto e, grazie alla capacità di straniamento del teatro, magnificente».

Martina Moretti

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