Ritorna in scena al Teatro Carlo Felice di Genova dopo 14 anni di assenza, in un nuovo allestimento realizzato in coproduzione tra Fondazione Teatro Carlo Felice, Teatro San Carlo Napoli, Teatro Liceu Barcellona, Palau de les Arts Reina Sofía Valencia il dramma lirico in quattro atti Manon Lescaut di Giacomo Puccini, su libretto di Domenico Oliva e Luigi Illica. La produzione che debutta venerdì 25 marzo 2022 alle ore 20.00 (repliche il sabato 26, domenica 27 marzo e venerdì 1, sabato 2, domenica 3 aprile) è dedicata alla memoria del grande soprano pesarese Renata Tebaldi, nel 1961 protagonista di una Manon Lescaut al Teatro Margherita di Genova entrata nella leggenda, in occasione del centenario della sua nascita.
Donato Renzetti dirige l’Orchestra e del Coro del Teatro Carlo Felice, preparato da Francesco Aliberti, la regia è di Davide Livermore, ripresa da Alessandra Premoli, con le scene di Giò Forma e Davide Livermore, i costumi di Giusi Giustino, le luci di Nicolas Bovey e il videodesign di D – Wok. Il cast si compone di Maria Josè Siri/Monica Zanettin (26/3 – 2/4) nella parte di Manon Lescaut, Marcelo Álvarez/Riccardo Massi (27/3 – 3/4)/Francesco Pio Galasso (26/3 – 2/4) nella parte di Renato Des Grieux, Stefano Antonucci/Enrico Marabelli (26/3 – 2/4) nella parte di Lescaut, Matteo Peirone nella parte di Geronte di Ravoir, Giuseppe Infantino nella parte di Edmondo e di Claudio Ottino (L’oste), Didier Pieri (Il maestro di ballo e Il lampionaio), Sandra Pastrana (Il musico), Matteo Armanino (Il sergente degli arcieri), Loris Purpura (Un Comandante di marina).
Il debutto dell’opera è preceduto da due conferenza illustrative a ingresso libero, in programma sabato 19 marzo alle ore 16.00 all’Auditorium Montale, Manon Lescaut. Opera di passione e melodia, a cura di Roberto Iovino, realizzata in collaborazione con Amici del Teatro Carlo Felice e del Conservatorio Niccolò Paganini e mercoledì 23 marzo, alle ore 17.45, nel I Foyer del Teatro Mi chiamano Manon. Il primo, grande personaggio pucciniano, a cura di Ida Merello, docente di Letteratura e cultura francese e Davide Mingozzi, dottore di ricerca in Arti visive, performative e mediali, realizzata in collaborazione con la Scuola di Scienze Umanistiche presieduta da Raffaele Mellace dell’Università degli Studi di Genova.
Al Teatro Regio di Torino, il 1 febbraio 1893, otto giorni prima del debutto di Falstaff alla Scala, Puccini raggiungeva il suo primo successo con Manon Lescaut. La scelta del tema era un rischio, dato che il fortunato romanzo dell’abate Prévost era già stato trasformato in opera da Massenet, con successo, nove anni prima. Ma il trentacinquenne Puccini era già pienamente consapevole del suo talento e non temeva il confronto: «Massenet lo sente da francese – disse a proposito del soggetto –, con la cipria e i minuetti, io lo sento da italiano, con passione disperata». E i fatti gli diedero ragione. L’anno dopo Manon trionfò anche al Covent Garden di Londra e, recensendola, George Bernard Shaw scrisse, con giudizio profetico: «Puccini mi sembra che, più di qualsiasi altro suo rivale, sia il più probabile erede di Verdi». Questa Manon, per la regia di Davide Livermore, parlerà soprattutto al pubblico di oggi, spingendoci a pensare e a riflettere sulla contemporaneità: qui Manon infatti, è un’emarginata, una migrante tra tanti emigranti europei faticosamente approdati nel Nuovo Mondo, che non ce la farà. Avvolta in un gigantesco flash back, l’opera inizia con la rievocazione di Des Grieux, anziano, nel 1954, dell’appassionata e al tempo stesso maledetta storia d’amore che l’ha condotto a fuggire in America, a seguito dell’amata deportata, là dove la storia di Manon finisce, “in una landa desolata ai confini con New Orleans”, che con Livermore diventa il reparto quarantene di Ellis Island, alle porte di New York, nel centro di smistamento degli immigrati in arrivo dall’Europa.